TU QUOQUE, ARIMINUM...

09 dicembre 2016   00:00  

Cronache Malatestiane di Giuliano Bonizzato  

Questa la missiva pervenuta qualche tempo fa al mio indirizzo di posta elettronica da parte di info@sanpietro.paradiso.com.                                                      

“Caesar Octavianus Augustus Iuliano suo salutem.

Scusami se, approfittando della speciale licenza concessami da San Pietro che (oltre a quelle del Paradiso detiene anche le chiavi dei computer di tutto l’Universo) mi rivolgo a Te dandoti del Tu. Non lo faccio certamente per arroganza di ex Imperatore. Il fatto è che, dopo aver letto la Tua recente Cronaca Malatestiana in difesa dell’Anfiteatro, Ti considero veramente un grande amico di Roma e dunque anche amico mio che della Città Eterna fui il massimo rappresentante sulla Terra. L’Anfiteatro! Una delle tre glorie di Rimini dopo il mio Arco e quel Ponte io stesso progettai e feci costruire e che, ciò nonostante, porta invece il nome del mio figlio adottivo Tiberio che ebbe solo il merito di dargli l’ultima mano… Un Ponte a cinque Arcate, tutto in marmo d’Istria, sorto proprio per realizzare in sinergia con l’Arco la mia ambizione di impreziosire Ariminum nel suo decumano: il Corso D’Augusto. Orbene amico cronachista mi è giunta notizia (recatami dal Prefetto del Pretorio, qui, nei campi Elisi, dove mi godo l’Eternità assieme alle nove corti della Guardia Imperiale da me creata) che questo mio bellissimo Ponte, percorso tuttora dalle vostre moderne bighe quadrighe e carri, sta per essere chiuso al traffico. Ciò (perdona il termine che mutuo dal volgo per dar più forza al mio dire) mi fa veramente incazzare! Ma per tutti gli Dei dell’Averno! Ariminum è l’unica città al mondo che può vantare un Ponte Romano rimasto in uno stato di conservazione pressoché perfetto, un Ponte che, a riprova della straordinaria  abilità costruttiva dei Vostri antenati è tuttora perfettamente in grado di sfidare i millenni, e adesso me lo volete isolare, degradare, mummificare? Ma non capite che il più grande orgoglio di Ariminum è proprio quello di fornire la dimostrazione visiva, palmare, inconfutabile di quanto grandiosa sia stata la civiltà Romana? Eliminare dal Ponte Romano le vostre bighe, quadrighe e carri significherebbe riconoscere che quel Grande Monumento è morto, che ha fallito lo scopo per cui è stato creato: quello di sostenere per sempre, (per sempre!) ogni tipo di traffico su due, quattro o financo sei ruote! Credono forse i riminesi che le loro autovetture pesino di più delle nostre bighe quadrighe e carri? Di quei grandi carri simili a quelli del Far West che trasportarono uomini donne e bambini dal Lazio e dalla Campania a fondare la Città di cui poi tutti gli imperatori a partire da me ebbero ad innamorarsi? Ma per tutti gli Dei, non capite che razza di richiamo turistico ha rappresentato finora agli occhi del mondo un Ponte Romano di duemila anni fa tuttora a servizio del traffico stradale moderno? E quale frustrazione, senso di impotenza, umiliazione seguirebbero al suo ingiusto pensionamento? E come tutto questo rappresenti una sanguinosa offesa fatta a me Imperator Caesar Divi filius, Augustus, Pontifex Maximus? TU QUOQUE ARIMINUM?

Scrivilo fili mi!

Vale

(Da “Tu quoque Ariminum” La Stamperia 2016)

 

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