PERCHE' RESTAURARE? LA RISPOSTA AL TEMPIO MALATESTIANO

30 luglio 2013   20:00  
Apericena

Una relazione senz’altro interessante quella del Prof. Andrea Ugolini che ha intrattenuto i soci e gli ospiti del Rimini Riviera bordo piscina con una relazione ricca di stimoli.

La risposta al quesito “Perché restaurare?” è al tempo stesso facile e complicata.
Facile perché la serie di immagini proiettate (tratte da “Carosello” degli anni ’70) che mostravano prima i monumenti italiani dopo i bombardamenti e lo stato dei medesimi dopo gli interventi di restauro, parlava da sé: restaurare è un dovere che restituisce il bello a chi del bello è stato privato dalla violenza.
Complicata perché mano a mano che la relazione procedeva, il Prof. Andrea Ugolini è riuscito a trasmettere un concetto sottile che ha stimolato riflessioni non immediate: per restaurare in modo corretto, bisogna riconoscere, ossia ri-conoscere. Questo concetto di conoscenza a due livelli (conoscere prima del “trauma” e ri-conoscere dopo il “trauma” per poter operare correttamente) cambia le cose. Le complica. Fa sì che esistano restauri e restauri, tutti in bella mostra a dimostrarci che a volte, se chi compie l’intervento non è in grado di ri-conoscere, all’edificio sarebbe meglio risparmiare una seconda violenza.
Il nostro Tempio Malatestiano è un esempio notevole di un intervento straordinario.
Dopo i bombardamenti, ogni pietra è stata pulita e numerata. Anche ciò che si era salvato è stato “smontato”. Poi si è proceduto con la ricostruzione tassello dopo tassello, ripercorrendo i passi dei costruttori originali.
La relazione si è articolata tra richiami alla costituzione (Art. 9 sulla tutela del paesaggio e del patrimonio storico) e al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. Non banale il passaggio che in quest’ultimo attribuisce la qualifica di bene culturale a tutto ciò che incorpora il valore di “testimonianza di civiltà”.
“Se ho uno straordinario palazzo antico nato per essere una elegante dimora, non è corretto volerne fare una biblioteca a tutti i costi, per quanto bella e suggestiva possa essere l’idea. I solai probabilmente non reggerebbero i carichi dei libri. Restaurare significa fare un processo simile al percorso filologico per la parola, cercando di capire il significato funzionale originale che all’edificio era stato assegnato, riconoscere quel significato per recuperarlo e donargli nuova vita”.
Per i romani, il restauro non esisteva. Loro “aggiornavano” l’opera.
Per gli inglesi, il restauro è la peggior forma di menzogna.
Il concetto di tutela dell’antico si sviluppa nell’800 grazie agli italiani che introducono il restauro filologico (il caposcuola è Camillo Boito).
Dopo la seconda guerra mondiale, nasce il restauro critico che, nelle parole di Cesare Brandi, viene definito come “il momento metodologico del riconoscimento dell'opera d'arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della trasmissione al futuro”.
Negli anni ’70 si evidenzia la divaricazione tra i sostenitori del restauro critico e i sostenitori della teoria della conservazione che rifiuta ogni integrazione stilistica (Bellini/Dezzi Bardeschi). Solo di recente si è registrata una convergenza verso posizioni critico-conservative. In attesa che la dialettica produca una nuova evoluzione, dopo questa serata guarderemo con occhi sicuramente diversi ogni intervento – più o meno riuscito – di restauro.
In una città in cui l’80% degli edifici è stata rasa al suolo dalle bombe, non mancheranno le occasioni.

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