IN QUESTA CRISI C'E' ANCHE LA VENDETTA DELL'ARTE

25 marzo 2014   20:00  
Conviviale con signore

Qualsiasi accostamento all’arte di qualcosa che sapori di fast, di show o di performance, resta indigesto ad Alberto Agazzani.

46 anni, giornalista, storico e critico d’arte, amante della storia della musica, ha alle spalle 300 mostre in Italia e all’estero, ha pubblicato oltre 100 fra cataloghi, monografie e saggi, ha ricoperto incarichi di nomina governativa e dallo scorso anno è curatore del MACS (Museo Arte Contemporanea Sicilia) di Catania.  
La serata al Club è stata davvero gustosa e interessante. A tema l’arte, il suo piegarsi in questi anni a commistioni con la categoria che regola la finanza, introducendo il concetto di nvestimento, con annesso smarrimento del concetto di bellezza.
Di più: la testimonianza di come nell’era della comunicazione istantanea e globale, il costruire fenomeni artistici da plusvalenza sia operazione compiuta a tavolino, ai danni del buon gusto e per prosciugare le tasche di arricchiti personaggi che bazzicano sotto i riflettori. In un titolo: il mercato dell’arte.
 
“Ho un rapporto speciale con Rimini – ha esordito – qui ho curato due mostre alle quali sono particolarmente affezionato. Qui torno sempre volentieri perché incontro persone alle quali sono molto affezionato e penso a Massimo Pasquinelli della Fondazione Carim, col quale feci proprio quelle due mostre”.
 
Poi Agazzani s’è spostato sul tema della serata, rifiutando il pensiero di chi guarda all’arte come ad un bene commerciale: “L’opera d’arte apre ad altro, è una finestra dalla quale guardare per trovare conforto dagli accadimenti della vita. Ha una capacità magica, è sempre stato così. Pensate al crocifisso, quanto di più terrificante ci sia con un uomo appeso ad una croce. E quanto quell’immagine emozioni da 2000 anni. Pensate a ciò che è capace di fare invece la bellezza”.
 
Oggi l’arte è spesso oggetto di speculazione e l’architettura dell’imbroglio prevede che una rassegna di opere, fra le quali molte di straordinaria bellezza, comprenda anche ‘ciofeche’ magari nemmeno manualmente realizzate dall’artista. “Accade come nella speculazione finanziaria, dove azioni spazzatura vengono accorpate ad altre di valore per mascherare il prodotto finale”.
 
Lo stesso, secondo Agazzani, accade spesso nell’arte, con potenti oligarchie (qualche galleria, qualche museo, qualche casa d’aste) disposte a confezionare un ‘nuovo fenomeno’ da far acquistare agli arricchiti. E così, pezzi di lamiera a forma di bamboccio, arrivano a costare decine di milioni di dollari.
 
“Ciò non è mai successo nella storia dell’arte, la speculazione è una novità di questo tempo. In passato il quadro lo si comprava per la sua bellezza, per l’emozione che trasmetteva, era quello il suo straordinario valore. Fra l’altro, una bellezza non di immediata percezione, ma che per maturare ed esaltarsi richiede a volte anche tanto tempo. Si pensi agli oltre 300 anni necessari ai quadri di Caravaggio per arrivare a guadagnare la loro straordinaria e meritata fama. Ma anche Bach nella musica. L’opera d’arte era funzionale ad accreditarsi verso ceti superiori, veniva tramandata. Ora, invece il prezzo si sostituisce al valore. L’arte nasce come culto, non ci si può non arrendere di fronte al fatto che l’arte racchiuda un mistero, non fosse perché è in grado di emozionare. Da ‘culto’ discende ‘cultura’, e qui dovremmo fermarci. Invece ci allarghiamo al ‘culturale’, e cominciano i guasti. Tutto diventa culturale, dalla sagra a agli addetti e agli assessori. Arrivano gli eventi, quindi palazzo Grassi diventa uno show room, ben altro dal grande collezionismo composto con gusto e conoscenza. Io sono convinto che la nostra crisi sia prima intellettuale che economica, è in crisi l’etica e la morale prima ancora dei conti. D’altra parte, per citare la frase di una amica, se l’arte non l’ami prima o poi si vendica”. E secondo Aguzzani, evidentemente si sta vendicando.

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