FRA FALLIMENTO, CONCORDATO E RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO

03 settembre 2013   20:00  
Caminetto

E’ diventata la quotidianità. Purtroppo. La crisi economica ha fatto prendere dimestichezza con termini una volta evitati come la peste. Un ‘fallito’ era marchiato a vita e per sempre, quasi impossibilitato a tornare nel circuito delle imprese. Oggi la quotidianità ci racconta di aziende che per mantenersi in vita, pur barcollanti, affrontano procedure alternative, meglio regolamentate che in passato, ma che (giustamente) non lasciano più il marchio di ‘fallito’ su chi le subisce.

La serata non ha onorato alla lettera il titolo, non è stata ‘una serata fallimentare’, perché Ugo Morganti,. Socio del club ed esperto in materia, ha prodotto un grande sforzo per rendere commestibile argomenti molto complicati. Grazie per questo sforzo che ha consentito un ascolto positivo e un arricchimento delle conoscenze.
 
Partiamo dall’inizio. Per ottenere il pagamento di un credito, si agisce con ‘esecuzione individuale’ per espropriare i beni e col ricavato soddisfare il credito.
Oppure si attiva una ‘procedura concorsuale’ che giudizialmente interessa un’impresa commerciale insolvente che nei tre esercizi precedenti abbia superato con la sua attività dei parametri stabiliti.
 
Le principali procedure concorsuali sono il ‘concordato preventivo’, ‘l’accordo di ristrutturazione del debito’ oppure il ‘fallimento’ e ‘il concordato fallimentare’.
 
Il concordato preventivo è proposto dalla categoria dei debitori ed è sottoposto al voto finale di approvazione degli stessi per l’omologa e l’esecuzione. E’ omologato se l’approva la maggioranza del debito
 
L’accordo di ristrutturazione viene proposto dal debitore, coinvolge almeno il 60% dei creditori coi quali si tenta un accordo, una transazione, con trattative singole.
 
Il fallimento è il classico caso che fa cessare l’attività dell’impresa, mira a ricavare il massimo per soddisfare le categorie dei debitori, da quelli privilegiati a quelli chirografari.
 
I reati connessi con queste realtà sono la bancarotta fraudolenta (da 3 a 10 anni), quando si distraggono con dolo fondi dall’azienda; la bancarotta semplice (da 6 mesi a 2 anni) quando la gestione fallimentare è dovuta ad errori strategici, imprudenze, ecc.
Ci sono reati anche per i curatori fallimentari come l’interesse privato negli atti o anche domande di ammissione di crediti simulati, ecc ecc.
 
Ugo Morganti ci ha poi portato tabelle che rappresentano coi numeri lo stato di difficoltà delle imprese del territorio.
Ad oggi i fallimenti aperti sono circa 500, uno addirittura risale al 1978. Nel 2008 erano 18, a fine agosto 2013 erano già oltre 80 (103 nel 2012).
 
I fallimenti erano stati 16 nel 2008, sono stati 69 nel 2012, sono già 45 ad agosto. Si sono fatti largo i concordati preventivi (2 nel 2008) 2 per ora 24 quest’anno. Un’analisi dei dati mette in evidenza che le difficoltà non hanno toccato in maniera proporzionale al peso di questa economia, le imprese turistiche.
Il settore edilizio paga dazio pesante, basta ricordare che le ore lavorate sono calate negli ultimi cinque anni del 29,7%. Dato che si ritrova su scala nazionale (2600 imprese dell’edilizia fallite nel 2012) e il 28-30% delle aziende non è in condizione di reggere un altro anno per mancanza di liquidità.
 
In uno scenario del genere, i creditori hanno la peggio ed hanno però qualche arma di difesa. Possono crearsi un titolo di privilegio prima della procedura, nei concordati esprimono un parere, negli accordi di ristrutturazione possono non aderire all’accordo.

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