FIDEL & DECA

04 dicembre 2016   00:00  

Pubblichiamo il bellissimo articolo scritto da Davide Brullo (La Voce, 1 dicembre 2016) con il nostro Deca.

Da dannunziano a castrista? Subito, lo sfotto. Cos’è, adesso sei diventato castrista?
«Macchè, diciamo che Castro è meno ripugnante di Trockij... per non parlare di Lenin, che da bravo comunista amava gli alberghi di lusso a Capri; Stalin, poi, è quasi innominabile...». 28 marzo 2012. Papa Benedetto XVI incontra Fidel Castro.
Le immagini televisive illustrano due vecchi. Uno è vestito di bianco, mite. L’altro, è un malato. Il Lìder Màximo è ridotto a un’ombra, il piglio severo è sostituito dallo sguardo smarrito di un uomo che non ha più coscienza del proprio corpo. Dal 2008 Fidel non è più Presidente del Consiglio di Stato, dal 2011 smette anche la carica di Primo segretario del Partito Comunista di Cuba. Il mito fattosi carne sospira, spira, marcisce. Che sottile ironia quella di Benedetto XVI: egli, Ratzinger, è un uomo che muore testimoniando l’immortalità del “mito fatto carne”, del Cristo; l’altro, Castro, è soltanto carne frollata dal dolore, mito passeggero, la Storia che dalla gloria passa alla tomba.

«Mi piaceva quel dittatore, allora semplicemente malato», mi dice lui, Giancarlo De Carolis, eminente dottore, già “Libero Docente in Clinica Ortopedica”, come dice l’intestazione della sua carta da lettere, ormai da decenni artista ispirato, aforista feroce, incisore con garbo e per diletto.
Formidabile classe 1923, “diavolo, sei più vecchio di Fidel”, lo sfotto, intercettandolo al Bar Embassy di Rimini,
dove è solito spandere saggezza davanti a un aperitivo. “Secondo me, ti sei fatto il ritratto”.

Non disturbo la pacifica ironia del “Deca”, artista limpido in un mondo di cinici. Il quale, quel giorno di fine marzo di quattro anni fa, semplicemente miracolato dall’ispirazione, piglia la penna e «in 17 secondi», traccia il ritratto (e dunque il destino) del vecchio Fidel, combattente tramortito.

Ne è risorta una incisione, poi acquerellata, di commovente nitidezza. Il guerriero che non ha creduto in altro se non nelle ragioni della gloria, pare un Giovanni Battista, pare uno scapigliato convertito, uno di quei preti matti usciti fuori da un romanzo di Lev Tolstoj. E a proposito di Tolstoj, vale la pena ricordare che De Carolis, ultimo emblema di una stirpe di geniacci (Adolfo De Carolis, lo zio, è stato tra i massimi incisori e illustratori del secolo scorso, mentre il padre, Dante De Carolis, decorò gli aerei di Gabriele d’Annunzio che svolazzarono su Vienna), ha appena stampato, per l’editore Raffaelli, a indorare l’edizione dei Diari, una incisione del magnetico scrittore.

C’è una sorta di sintonia tra il tuo Tolstoj e l’ultimo Castro, forse in cerca di benedizione e di bontà, dico, riconoscendo la grandezza di De Carolis. Il quale, subito, spazza via ogni rottame della vanità: «non sono io a essere bravo, sono gli altri a essere asini». Ha la voracità dell’aforista, De Carolis, quello sguardo spiazzante che guida anche la sua penna. Di recente ha pubblicato, in edizione d’arte, degli Aforismi e noterelle su l’arte, con decori dell’Autore. Sembra un libro che proviene, delizioso, da un millennio perduto. Da cui ci giunge un
quasi didascalico (e problemico) corso di estetica. «“Bello e brutto” non sono termini affidabili»; «Le rivoluzioni artistiche di una certa importanza si rivelano con le opere, non con i manifesti o le conferenze»; «In Arte è meglio sbagliare che annoiare».

Questa specie di Nietzsche riminese, garbato e impeccabile nel vestire, non lesina in stoccate. Esempio: «La Biennale di Venezia: l’Arte come spettacolo».

Oppure questa, «Piuttosto che saper dipingere come Lucian Freud è preferibile non saper dipingere».
Sono come piccoli aghi di ghiaccio: d’altronde l’aforisma, ci dice De Carolis, Lìder Màximo della leggerezza, è «un pensiero congelato».

L’aforisma più sottile, comunque, mi pare questo, di delirante attualità, come si dice: «Da Platone a Kant e successori, nessuno sa veramente cosa è il “Bello”, ma c’è ancora una maggioranza che crede di saperlo». Il più profetico è questo: «Un ritratto è “vivo” se il ritrattato finisce per assomigliare al ritratto, nel tempo».

Che bizzarrie: il caso ha voluto che la maschera funebre di Fidel Castro fosse griffata da un artista al di là dell’Atlantico, da un riminese che ama l’Adriatico. (d.b.)
 

MULTI-ROTARY - Distretto 2072