DUE ANNI DI COVID: TURNI DI VITA O DI MORTE. GLI OPERATORI SANITARI IN BATTAGLIA IN PRIMA LINEA

08 marzo 2022   20:30   Hotel Ambasciatori Rimini
Riunione n° 21/1920 - Conviviale con signore
Relatori Monica Falocchi, caposala della Terapia intensiva degli Spedali Civili di Brescia

Interclub con Inner Wheel Rimini e Riviera, Soroptimist Rimini ed Agora 11 Rimini.


Serata ricca di intense emozioni quella che abbiamo trascorso martedì, grazie al racconto che Monica Falocchi cj ha fatto della sua terribile esperienza vissuta all’interno del reparto di terapia intensiva degli Spedali Civili di Brescia durante l’esplosione ed il propagarsi della pandemia. In quel periodo Monica Falocchi ricopre l’incarico di infermiere coordinatore, ed improvvisamente arriva lo tsunami!

"Raccontare, ricordare, per non dimenticare...". Queste le prime parole di Monica. Ripercorrere assieme a noi la sua esperienza professionale ed umana è emotivamente faticoso, e l’emozione è palpabile. A volte la sua voce trema per la commozione...

21 febbraio 2020: Monica è in servizio nel suo ufficio e riceve la telefonata che conferma la presenza del virus a Codogno. Vicino, troppo vicino a Brescia... Un brivido di paura attraversa lo sguardo di tutti quelli presenti in quel momento in ufficio. La reazione è immediata, pronti ad affrontare un virus di cui si sa poco, a parte l’infettività.

"...Sapevamo come comportarci, sapevamo che sarebbe accaduto, ma non immaginavamo in quel modo..."

Continua il racconto: "...Le nostre identità sono state annientate dalle protezioni: tuta protettiva plastificata, occhiali protettivi, mascherina, doppi guanti. Si vedevano a malapena gli occhi..."

Monica non può dimenticare "il sudore lungo la schiena, il caldo, la sete insopportabile, il dolore che la mascherina provoca al naso, indossata anche per dodici ore al giorno. I solchi rimangono sulla faccia per ore..."

"...Tenere sotto controllo i pazienti sedati e collegati ai respiratori è un impegno delicato e gravoso, e richiede competenze avanzate, concentrazione costante e abilità tecniche con ritmi di lavoro frenetici e pesantissimi. Non esistono "pause caffè", e non esistono scambi di battute a fine turno... solo occhi stanchi e pieni di lacrime..."

Arriva l’ennesima barella: Monica incrocia il suo sguardo con quello del malato, un giovane uomo, "..e nei suoi occhi la paura, quella vera, la disperazione... con il poco fiato che ancora gli resta supplica di poter chiamare i suoi cari... dice: "non posso andarmene! Non posso andarmene senza aver detto loro che li amo!"

"Impossibile trattenere l’emozione...", racconta con commozione Monica, "...le parole di forza della moglie, il "ciao" della figlia, mi sono entrate come una spada nel cuore. E come lui, altri! Troppi..."

"Il pensiero comune è che i sanitari sono abituati, ma non è così! Non ci si abitua mai alla sofferenza, alla morte. Si diventa solo bravi a proteggersi, ma la capacità di resilienza viene meno, non c’è tempo per elaborare, per metabolizzare... come si fa... come si fa a farsi scivolare tutto... la gente comune, dopo un film drammatico, all’uscita della sala fa fatica a sorridere, ma qui non si trattava di un film! Era la dura realtà..."

Monica Falocchi ha trascorso ben quindici anni in un reparto di rianimazione, e questo fatto, di per sé, la rende una persona speciale, una eroina! "...Rianimazione è un reparto difficile, estremamente impegnativo, sia dal punto di vista fisico che psichico. Lo spaccato di vita che si vive al suo interno entra dentro, nel profondo dell’anima..."

È un lavoro usurante, ma "...abbiamo accolto tutti i malati come persone, e non come numeri. Abbiamo conservato con cura i loro effetti personali...". Piccoli gesti ed attenzioni che hanno umanizzato, per quanto possibile, il dramma vissuto da così tante persone e dalle loro famiglie. Molti pazienti arrivano in ospedale direttamente da casa e Monica, nel suo racconto, descrive come "... spesso si rende necessario sfilare anelli, orologi, ciondoli, prima di eseguire la sedazione... ricordo quei gesti con grande tristezza, con la continua sensazione di violare l’intimità dei ricoverati... e poi comunque non c’era nessuno in sala d’attesa a cui poterli consegnare..." Anche questo particolare turba il racconto di Monica: "...non ci dormivo la notte al pensiero di smarrire qualche oggetto personale o scambiarlo con altri... pensate che valore può assumere un semplice anello per una famiglia che non ha potuto riabbracciare il proprio caro..."

"Noi sanitari abbiamo rappresentato l’unico contatto umano che i pazienti hanno potuto avere durante i ricoveri, ed a noi si chiedevano non solo le cure, ma EMPATIA e CALORE UMANO... l’assenza delle famiglie è stato un vuoto enorme... ci siamo sentiti investiti di un ruolo ingombrante... abbiamo tenuto la mano ai malati e ci siamo sostituiti alle famiglie nel momento della morte... nessuno è morto da solo..."

"Mai come in quei momenti è stato chiesto ai sanitari di dare prova di coerenza nel rispetto della persona, cosa che li caratterizza!" Sono stati chiamati eroi, "... ma noi siamo consapevoli che abbiamo fatto, e continuiamo a fare, il nostro dovere, inteso nel senso più alto del termine..."

Conclude Monica: "l’esperienza vissuta dai sanitari, nessuno escluso, ci ha segnato profondamente, una ferita nell’animo... troppe le immagini impresse nella memoria, i ritmi frenetici, i rumori della corsia che nella prima ondata facevano da contraltare al silenzio ed alla desolazione delle strade della città durante il mio ritorno a casa, sola, stanca, svuotata... mi sono chiesta spesso: come sono sopravvissuta a tutto questo? Ho un’unica risposta: grazie all’amore! Isolata dagli affetti per mesi, ma mai sentita sola. Chi ci ama veramente sa trovare il modo di starci vicino e sostenerci anche se è distante!"

"Per un certo periodo di tempo c’è stata l’attenzione dei media, e questo, per i sanitari, è stato incoraggiante. Cresceva la speranza che la situazione drammatica ed i riflettori puntati avrebbero smosso le coscienze a chi di dovere. Ma è stata un’illusione... Le ondate si sono susseguite senza che il personale sanitario potesse avere il tempo di rinfrancarsi, tirare un po' il fiato. La paura di non reggere era tangibile... lo sforzo mentale, emotivo e fisico che è stato richiesto ai sanitari è stato molto al di sopra delle loro possibilità, tanto da minarli nel fisico e nell’anima..."

"Chi lavora ancora nei reparti Covid è sfinito, svuotato e molto arrabbiato! Oggi si sente ancora parlare di infermieri malmenati, insultati, sottopagati... non è più accettabile! Gli infermieri sono la spina dorsale della Sanità, una professione che merita rispetto e riconoscimento!"

"Vado fiera della categoria che rappresento: il personale sanitario, ospedaliero e del territorio, ha fatto tutto ciò che era possibile e continua a farlo con professionalità ed umanità. Il mio viso ha rappresentato, mio malgrado, il volto di migliaia di professionisti... mai avrei pensato che uno scatto rubato avrebbe potuto finire sulla copertina di una rivista internazionale. Quella foto fu un caso, la feci senza pensare... non avevo il tempo di farlo... Realizzai molto tempo dopo il significato di quella copertina per me e per la categoria che rappresento. Quando osservo quella fotografia faccio fatica a riconoscermi... i miei occhi non erano lì, in quello scatto, erano sul campo in prima linea..."


MULTI-ROTARY - Distretto 2072